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Volare in terra e camminare in cielo

martedì 22 febbraio 2011

I sacerdoti, in loro Gesu', una porta verso il Paradiso

Senza fine

Gesu' mio non finirari mai di perdonarmi per quanto io commetto contro di te e contro il Padre.

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mercoledì 16 febbraio 2011

Amma' Madre mia, Madonna mia

Amma' Tu chiami e pronuci il mio nome. Il mio nome diviene Santo nella grazia della Tua voce. Mi fermi e mi chiami. In quel momento io sono, so' che Tu tieni a me come un figlio, Tu mi vuoi cosi' come sono, per cio' che di buono e unico e' in me, prima lo speravo, ora lo so'. Lo Spirito Santo canta al mio cuore e alla mia mente, alla mia anima, quello Spirito di Sapienza tanto caro al Tuo figlio Gesu', dono per noi. Lui mi rivela la tua Maternita', Lui apre il mio cuore prima socchiuso. Nonostante il peccato tenti di soffocarmi, Tu mi difendi e chiedi perdono per me. Mi chiami e la pace riecheggia nel cuore mio come non mai, la gioia arriva in un istante, un istante che vorrei durasse per sempre ma che e' per sempre. So' che se saro' degno nel cuore al momento del giudizio mio, io arrivero' da Te, ma Ti chiedo come posso esser degno io del candore della Tua voce, della carezza delle Tue parole, del Tuo amore? Solo la Tua Grazia puo' elevarmi. Le Tue parole seppur semplici e poche al mio intelletto, divengono infinite nello Spirito, lucenti e chiare come mai.
Maria, Madre mia, con una sola parola, chiamandomi, Ti ho conosciuto, con il mio nome hai segnato la vita mia per sempre.

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Giudicare

In questa intervista del 2001 a Mirjana, veggente di Medjugorje, rifletto su cosa vuole Amma', la Madre nostra Maria, da chiunque abbia la grazia di essere apostolo del Signore. Essa e' una grazia che il Signore ha in serbo per tutti ma Condicio sine qua non essa si realizzi diviene la nostra volonta'.
Nonostante questa nostra apertura pero' sembra proprio che essa debba essere sempre sposata anche dal Padre, un Padre che magari piu' volte e' passato senza che noi lo abbiamo accolto, un Padre che ci e' venuto incontro in ogni modo e nel momento in cui il suo amore avrebbe trovato degna dimora in noi. Da questa intervista capisco che non dobbiamo biasimare chi non ha conosciuto l'amore del Signore ma aiutarlo a conoscerlo, prepararlo a quell'incontro che purtroppo non e' ancora avvenuto, preparare a quell'incontro con carita' e amore fraterno, ognuno con cio' che puo' dare di se'.

"La Madonna non dice mai "non credenti", ma lei, che è la Madre di tutti, li chiama "quelli che non hanno ancora conosciuto l'amore del Signore". Lei chiama così i non credenti. Questa per me è un'esperienza molto importante e io sono contenta di avere la possibilità di parlarne a così tanti ascoltatori. Se tutti incominciassero a fare ciò che la Madonna vuole per i non credenti, noi asciugheremmo le lacrime dal suo viso, perché innanzi tutto lei vuole che sentiamo amore per loro e che li sentiamo come nostri fratelli e sorelle, i quali non sono così fortunati come noi nel conoscere l'amore del Signore. E quando abbiamo questi sentimenti, allora si prega volentieri per loro. Non dobbiamo giudicarli, non sforzarli, non fare prediche, ma semplicemente amarli, pregare per loro e dare il nostro esempio. La Madonna vuole salvare tutti e non sarai contenta finché ognuno di noi non diverrà un bouquet di fiori che lei vuole donare a suo Figlio."

"Per la Madonna non esistono figli privilegiati; una mamma ha per tutti i suoi figli un uguale amore. La Madonna ha scelto me perché tramite me comunica dei messaggi, ma ha anche scelto ognuno di voi, perché ciò che faccio io con i messaggi è di invitare voi ad essere suoi apostoli, per diffondere ovunque i messaggi che il Signore dà a noi. Dunque siamo tutti uguali, tutti scelti, importanti e privilegiati. Se qualcuno è privilegiato per la Madonna, questi sono i sacerdoti, perché in questi ultimi tempi lei mi parla proprio dei sacerdoti. Io sono stata tante volte in Italia e ho visto una grande differenza rispetto a qui nel modo di trattare i sacerdoti. Qui da noi, quando un sacerdote entra in casa, noi tutti ci alziamo, nessuno incomincia a parlare prima che parli, nessuno si siede per primo, perché noi sappiamo che, tramite il sacerdote, il Signore Gesù entra nella nostra casa. La Madonna dice sempre: "I sacerdoti non hanno bisogno del vostro giudizio e delle vostre critiche, ma hanno bisogno del vostro amore e delle vostre preghiere". Dio alla fine giudica tutti: noi saremo giudicati per il nostro comportamento con i sacerdoti e i sacerdoti per ciò che hanno fatto come sacerdoti. La Madonna dice che se noi perdiamo il rispetto per i sacerdoti, perdiamo poi il rispetto anche per la Chiesa e per nostro Signore. Se pensiamo che il nostro sacerdote faccia ciò che non dovrebbe fare, non perdiamo tempo a parlare in giro di questo.
Preghiamo per lui e chiediamo al Signore che lo aiuti a capire. Allora, se qualcuno è privilegiato, questi sono i sacerdoti. La Madonna dice sempre: "I sacerdoti rappresentano mio Figlio". Anche per quanto riguarda la benedizione lei dice durante le apparizioni: "Io vi dò la mia benedizione materna, ma la benedizione più importante che potete ricevere sulla Terra è quella che vi danno i sacerdoti, perché, tramite loro, mio Figlio vi benedice". Allora se qualcuno è privilegiato, sono solo i sacerdoti."

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lunedì 14 febbraio 2011

Sia fatta la nostra volonta'

Amici, Dio ha lasciato a noi la scelta e la liberta' di volerLo, di volere l'unione eterna con il Padre. Gesu' nella Santa preghiera al Padre nostro dice "...sia fatta la tua volonta'come in cielo cosi' in terra...". Dio ha voluto che noi vogliamo, ci ha lasciati liberi di volerLo per sempre.

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venerdì 11 febbraio 2011

La carita' e la salvezza

Chi opera per gli altri, specialmente per quanti hanno piu' bisogno, diviene operatore di equita', chi da' acqua e cibo a un povero e' come se lo avesse fatto direttamente a Gesu', direttamente a Dio. Ma quante tentazioni a non farlo! La forza delle tentazioni non e' equiparabile alla gioia che tolgono? Umilmente chiedo scusa se le mie parole possano essere viste come irrispettose per queste persone ma rammento loro e ricordo a me stesso di non preoccuparmi solo della fame del loro corpo ma sempre anche della fame della loro anima, di preoccuparmi e aver cura della loro salvezza della loro sazieta' eterna.

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L'inferno esiste

Amici, l'inferno esiste e per cio' che riguarda la sua esistenza io non mi affido a una mia opinione personale ma mi affido a chi ha fatto grandi cose qui, a chi ha amato piu' di ogni altro uomo che ha toccato questa terra, a chi ha detto al padre di perdonare i fratelli mentre questi gli sputavano, lo schiaffegiavano, lo crocifiggevano, a chi ha fatto risorgere i morti, a chi ha restituito una dignita' anche agli ultimi degli ultimi, a chi ha reso i poveri ricchi nel cuore, a chi non ti guardava negli occhi quando sbagliavi per non umiliarti, a chi ha vinto la morte risorgendo, per quanto mi riguarda mi affido a Gesu il Cristo, il Messia. Mi affido a Lui perche' Lui ha amato piu' di tutti e nonostante abbia cercato non ho trovato nessuno come Gesu', perche' la mia e l'anima degli altri per me e' importante e perche' tutto quello che ho qui finisce, non posso affidarmi a delle mie fantasie personali, non posso affidare te e me a uno qualunque. L'anima e il corpo e' tutto cio' che abbiamo, dobbiamo affidarla in mani sicure non possiamo andare a caso.

Quest' Uomo ha spiegato bene cosa e' il Paradiso e l'inferno, tanto che quest'utlimo lo ha definito la geenna. La geenna, una valle dove i bambini venivano uccisi, un posto in cui si uccidevano i piccoli, come nei lager ma con diversi ideali. Immagino questo luogo tra i piu' terribili e vuoti d'amore, tra i piu' pieni di odio, desolazione, tristezza, in una parola tra i piu' dannati mai esistiti.

La voglia di fare festa c'e' in me come in voi (credo) ma non e' quella infernale almeno per me. Non illudiamoci che nel Paradiso ci sia silenzio e noia, nel Paradiso c'e' gioia e amore, in Paradiso c'e' vita!


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Dio non punisce ma ti lascia libero

Credo che una delle peggiori illusioni sia che Dio mi mandi all'inferno per punirmi. Dio lascia semplicemente che io vada li' dove voglio andare dopo aver dato tutto se' stesso per convincermi del contrario. L'onnipotenza che Dio ci ha affidato e che ci rende simili a Lui piu' di ogni altra cosa e' forse proprio la liberta', una liberta' che puo' rendere vano, con il nostro rifiuto, anche il sacrificio piu' grande come quello del figlio di Dio. Gesu' morirebbe crocifisso nuovamente per un suo solo fratello da salvare, morirebbe nuovamente per una sola anima con cui gioire per sempre nei cieli con il Padre, morirebbe nuovamente per un solo cuore in cui poter infondere il suo incomparabile, infinito amore.

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sabato 5 febbraio 2011

La sofferenza. Perche'?

Un pensiero che ho molto apprezzato di una persona che non conosco ma al quale Gesu' mi unisce.

Da http://www.cattoliciromani.com/forum/showthread.php/bene_male_sofferenza-33424.html?p=803621 di Federico Pellettieri:

" Uno dei problemi che da sempre ha assillato la mente umana nel tentativo, mai riuscito, di addivenire ad un’accettabile soluzione è quello relativo alla sofferenza: sofferenza intesa, nel senso più lato del termine, come mancanza di uno o più elementi che riteniamo costituire i cardini su cui fondare una presunta felicità di vita. Dalla mancanza della salute fisica, nella sua infinita varietà di forme, con riferimento alle singole cause determinanti la menomazione (malattia, violenza subita da altri soggetti o per cause naturali ed ogni forma di carenza nella zona psicologica-affettiva, causa di sofferenze, a volte, più devastanti delle prime), fino ad arrivare alla mancanza più radicale che è quella della vita stessa.
Ma se accade che ognuno sia, più o meno, disposto ad accettare la sofferenza (compresa, innanzi tutto, la morte) che colpisce il soggetto in maniera del tutto naturale e quella, anche se non ricadente in modalità oggettivamente naturali, che riguarda una persona ritenuta “meritevole” di un certo tipo di punizione, ciò che resta oltremodo difficile da accettare è ogni tipo di sofferenza che ricade sul soggetto inerme, debole, soprattutto se in tenera età, in maniera oggettivamente al di fuori di qualsiasi plausibile giustificazione: in parole povere, la sofferenza del “giusto”.
La domanda, allora, che ci si pone circa l’origine della sofferenza è sempre la stessa: come può il Dio in cui crediamo – unico vero ed assoluto Bene – consentire che avvengano tutti gli orrori (siano essi causati da eventi naturali o attribuibili alla malvagità umana) ai quali siamo costretti ad assistere da passivi spettatori, in quanto destinatari del quotidiano bombardamento dei più diversi mezzi di informazione che tali fatti non evitano di mettere in particolare risalto per soddisfare, d’altra parte, la nostra, a volte masochistica, curiosità? Può essere stato Dio a creare il Male?
Il libro di Giobbe dà un’esauriente risposta a tali domande, anche se in modo, apparentemente, provocatorio.
Dio, in un colloquio con Satana – che mi sembra unico nel suo genere – accetta che quest’ultimo tenti il “giusto” Giobbe con ogni specie di sventure sempre più dure ed inspiegabili: alla fine Giobbe accusa un cedimento nella sua proverbiale pazienza e chiede a Dio spiegazioni di tutto quello che gli capita. “Eri tu con me quando ho creato il mondo?....quando ho diviso le acque dalla terra ferma?....quando ho creato gli animali?.......”. Giobbe capisce ed accetta tale risposta che, apparentemente, tale non è: i suoi mali non vengono da Dio, ma non gli è consentito di indagare oltre; l’argomento, infatti, resta coperto dal mistero, secondo gli imperscrutabili disegni divini. Ma se Dio, sommo Bene, non ha creato il Male, può il Male considerarsi un’entità contrapposta al Bene e, comunque, quando è comparso il Male?. Il Male, come opposizione al Bene al fine della sua negazione, è comparso con la ribellione di Lucifero e dei sui angeli verso Dio: la creatura angelica diventata diabolica, per sua libera scelta, non costituisce, peraltro, la personificazione del Male, ma ad esso tende, assumendosi anche il compito di perenne tentatore dell’uomo al fine di distoglierlo il più possibile dal Bene, per il quale l’uomo è, invece, preordinato.
Il Male, quindi, va considerato come il fine da raggiungere, da parte delle creature diaboliche nella continua lotta contro il Bene, senza, peraltro, mai riuscirci: la contrapposizione del Male al Bene è molto efficacemente, da qualcuno, paragonata all’attacco della ruggine verso il ferro: La ruggine (il Male) corrode il ferro (il Bene) ma non lo potrà mai distruggere totalmente, dato che, in tale ipotesi, distruggerebbe sé stessa. Sempre in tema di similitudini, altri ha paragonato il rapporto tra il Bene ed il Male a quello sussistente, in un pezzo di groviera, tra il formaggio ed i buchi.
Sulla base di quanto sopra osservato, risultano così evidenziati i due aspetti salienti del Male: il Male della pena (sofferenza) ed il Male della colpa (peccato), tra i quali, però, sussiste un misterioso rapporto di correlazione ed interdipendenza.
E’, infatti, di comune evidenza che il male della pena non ricade quasi mai, se non per circostanze che possono apparire del tutto accidentali, sull’autore del male della colpa, ciò in quanto la Giustizia divina non si realizza in questo mondo.
Per mera non riscontrabile intuizione, o suggestione, potrebbe ipotizzarsi un bilanciamento globale universale tra i due aspetti del Male, per cui al Male della colpa corrisponda un Male della pena cui, oltre a tutti gli uomini, partecipi anche tutto il creato, dal mondo animale, a quello vegetale, a tutta la natura in genere, dato che è lecito ipotizzare che il male della pena non sussisterebbe in assenza del male della colpa.
Ma se il problema del Male resta pur sempre un fatto misterioso, quale valore attribuire alla sofferenza, quando mi accorgo che a soffrire, come si è detto, sono i “giusti” ?.
Forse potrebbe essere utile per la risposta, il ricordo di un antico racconto ebraico, ambientato alla corte del Re Salomone.
Una povera vedova ha nella dispensa della sua modesta abitazione solo tre pani. Alla sua porta bussano tre mendicanti ai quali, l’uno dopo l’altro, consegna tutto il pane che ha, confidando nell’aiuto del Signore.
Si reca così a mendicare alla bottega di un ricco fornaio, il quale, rifiutando ogni aiuto, concede alla vedova di raccogliere i cicchi di grano dispersi per terra: la vedova accetta e ringrazia e, dopo un lungo e faticoso lavoro di ricerca, riesce a mettere insieme una discreta quantità di grano, tanto da riempire un sacchetto. Piena di gioia, ringraziando e lodando il Signore, la vedova intraprende la strada del ritorno a casa con il suo prezioso bottino. Senonché per strada viene colta da una grande bufera di vento: un soffio particolarmente impetuoso la sbatte per terra; nel rialzarsi si accorge di aver perso il suo sacchetto, portato via dal vento.
Comincia allora ad imprecare contro il vento che con quell’azione aveva dimostrato di non obbedire al Signore e contro lo stesso Signore che aveva consentito quanto accaduto. Sconsolata, si reca da Salomone per chiedere aiuto, dopo aver raccontato la sua sventura. Salomone la fa aspettare in una sala, dato che, in quella attigua deve ricevere alcuni mercanti che gli hanno chiesto udienza: costoro consegnano a Salomone la metà del ricavato della vendita della loro merce, trasportata in quella città con la loro nave, facendo presente di corrispondere, in tal modo, ad un loro voto al Signore per uno straordinario miracolo a loro stessi capitato. Infatti, mentre navigavano, erano stati colpiti da una violenta bufera che aveva prodotto una falla nella fiancata della loro nave che stava, perciò, affondando: in quella disperata situazione rivolgono un’accorata preghiera al Signore e sono, così, misteriosamente salvati. Successivamente, entrati in porto, avevano avuto modo di rendersi conto delle modalità dell’intervento divino, una volta portata la nave in secco ed aver notato che la falla risultava sorprendentemente tappata da un sacchetto di grano che, a riprova dell’accaduto, consegnano a Salomone.
Salomone, dopo aver mostrato il sacchetto alla vedova ed aver avuto conferma che era proprio quello da lei perduto, le offre la metà delle monete consegnate dai mercanti; la vedova rifiuta l’offerta, riprendendosi il sacchetto e ringraziando il Signore per averle fatto capire che anche il vento, nonostante le contrarie apparenze, aveva obbedito ai disegni divini.
Ma come può la sofferenza propria costituire sorgente di bene, oltre che per sé stessi, anche per gli altri?
La sofferenza è un mistero, come del resto mistero è la stessa vita dell’uomo: è un libro sigillato che non è dato ad alcuno di aprire e leggere, se non all’Agnello immolato.
E’ solo, infatti, meditando sulla sofferenza di Cristo crocifisso che l’uomo può, se non comprendere, almeno accettare il valore salvifico della sofferenza, se vissuta per amore e con amore nella partecipazione, per dono di Dio e libera scelta personale, alla Sua opera redentrice.
Quel giorno su quel monte le croci erano tre: tre uomini morivano apparentemente con la stessa morte e subendo le stesse pene; ma quale differenza tra loro!
La prima era la sofferenza di chi la rifiutava e continuava ad imprecare contro il Signore ed a nulla serviva; la seconda era la sofferenza accettata e giustificata per i propri peccati e, perciò, risultava a vantaggio della propria salvezza; la terza, infine, era quella del vero Giusto che volontariamente si offriva per la redenzione degli altri. A quest’ultima, comunque, non può attribuirsi un valore meramente soddisfattorio, tale da giustificarla su di un piano apparentemente giuridico, sulla base di criteri di giustizia umana che, d’altra parte, farebbe apparire la figura del Padre come un Dio, quasi vendicatore, che resta in attesa dell’espiazione della pena, per rimediare, così, all’offesa ricevuta; il suo valore salvifico va ricercato nell’adesione liberta e volontaria alla stessa: a tale sofferenza deve ritenersi misteriosamente associata la compassione del Padre, per la passione del suo unico Figlio, venendo meno, in caso contrario, lo stesso mistero Trinitario.
Ma, allora, può, forse, sostenersi che la sofferenza costituisce luogo privilegiato d’incontro con il Signore?
Non ci sono dubbi che particolari situazioni di sofferenza (sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo) possano notevolmente contribuire al realizzarsi di quell’incontro. Non può, nello stesso tempo, escludersi che le stesse situazioni possano, invece, sortire l’effetto contrario: a volte, infatti, di fronte all’impossibilità di dare soddisfacenti risposte a malanni che oggettivamente appaiono sproporzionati ed insopportabili, può capitare che insorga un’incontrollata reazione contro tutti ed, in particolare, contro Dio stesso, in quanto ha permesso il verificarsi di certi eventi, dei quali è difficile trovare una qualsivoglia giustificazione e che appaiono quasi il frutto di un’autentica persecuzione; la stessa proverbiale pazienza di Giobbe subì un arresto, sia pure momentaneo, che sfociò in una vera e propria imprecazione contro Dio.
Di contro, situazioni di tutta tranquillità (sia sotto l’aspetto economico, che della salute, del lavoro e dei rapporti umani) non è detto che debbano necessariamente distogliere l’attenzione da problemi d’ordine esistenziale: può benissimo accadere che proprio un vita siffatta, priva di qualsivoglia contrarietà (ammesso che ciò possa, comunque, realizzarsi) determini l’insorgere della consapevolezza di una vita priva di significato e, di conseguenza, della necessità di una profonda indagine introspettiva che porti alla ricerca della vita “vera”, sulla via della Verità.
La fede è, in effetti, un dono del tutto gratuito del Signore che viene concesso a quanti con un libero atto della propria volontà si determinano, in apparente contrasto con ogni logica umana, a rendersi disponibili all’azione della Grazia divina: del tutto arbitraria, appare, comunque, la ricerca di particolari situazioni che possano favorire il manifestarsi di detta disponibilità. Innumerevoli, imprevedibili, sconvolgenti, ed a volte oggettivamente irrilevanti, sono, infatti, le particolari circostanze che in modo repentino, quasi folgorante, possono determinare un radicale cambiamento della propria vita, abbandonando, senza rimpianti la vecchia via, per intraprenderne una nuova, nella sequela del messaggio evangelico.
La sofferenza, comunque, resta sempre uno dei misteri più impenetrabili della fede cristiana ed è, per questo, che su di essa convergono le maggiori domande dell’uomo: perché si soffre, quali sono le cause e, soprattutto, perché tanta palese ingiustizia in essa, dato che a soffrire, il più delle volte, sono i soggetti più deboli, indifesi e meno meritevoli di castigo ?
La sofferenza, si dice, ha il suo fondamento nella colpa dell’uomo: ma se ciò è facilmente riscontrabile ogni volta che la sofferenza di qualcuno deriva direttamente dalla colpa di un altro, come accade in tutti i casi di violenze personali subite per la ferocia di un altro soggetto ( o, comunque, per mera sua colpevole negligenza), di atti terroristici ed, in genere, di qualsiasi altro comportamento addebitabile a qualcuno, sia soggetto individuale oppure collettivo, ivi compresi i conflitti bellici, ci sono, d’altra parte, innumerevoli casi nei quali non è percepibile alcun rapporto di causalità con l’intervento umano, come le malattie in genere e tutti i disastri naturali, come terremoti, maremoti ed altri fenomeni naturali che mietono, a ripetizione, un numero enorme di vittime inconsapevoli: ed è proprio con riferimento a quest’ultimi casi che quelle domande attendono, con più insistenza, adeguate risposte, anche se, con un’indagine più approfondita, potrebbe sostenersi che anche tali eventi sono, sia pure indirettamente, riconducibili, a volte, all’azione dell’uomo. Non si può, infatti, negare che la morte di un numero considerevole di bambini innocenti, nelle zone più depresse, per denutrizione, sia il frutto dell’ingiusto accentramento della ricchezza, determinato da uno sfrenato ed egoistico accaparramento di beni da parte di una minoranza di persone, mentre molte delle stesse calamità, così dette “naturali”, e numerose malattie sono riconducibili, invece, ad interventi devastanti sul territorio, come l’abnorme sfruttamento del suolo e l’immissione incontrollata di sostanze inquinanti, tutti interventi addebitabili all’opera dell’uomo.
Se accettassimo, comunque, l’idea che la sofferenza non esisterebbe sulla terra qualora non esistesse il male della colpa, se accettassimo l’idea che la salvezza di ogni singolo individuo può realizzarsi solo all’interno di un “popolo”, superando ogni idea individualistica, estranea alla fede cristiana, realizzando l’esodo dalla prigionia del proprio “io”, solo allora capiremmo quanto inutile sia soffermarsi sulla precedente distinzione e potremmo accettare l’idea che un’umanità senza una sofferenza, redentrice del peccato del mondo, sarebbe un’umanità disumanizzata.
E’ il peccato (così come comparso, fin dalle sue origini, con la ribellione di Lucifero e delle sue schiere) la causa principe della sofferenza e della condanna del genere umano, condanna che sarebbe stata irrevocabile se non fosse intervenuto l’Avvento del Figlio di Dio che, fattosi uomo ed assumendo su di sé tutto il peccato del mondo, ha offerto in sacrificio la propria vita, non come atto di riparazione e compensazione dell’offesa fatta a Dio, bensì come atto di folle amore per l’uomo, partecipando alla potenza suprema, perdonante di Dio, aprendo, così, per tutti e per sempre la strada della salvezza. “Un Dio che ci concedesse dall’alto il perdono non potrebbe che essere sospetto. Non c’è nulla di più sospetto di un certo modo paternalista di dire: io ti perdono. Ma un Dio fatto uomo che perdona morendo, la cui morte è simultaneamente perdono, e perdono universale, come potrebbe essere sospetto?” (François Varillon: Gioia di credere gioia di vivere).
“La sofferenza fa parte dell’esistenza umana”. Così afferma Benedetto XVI nell’enciclica “Spe salvi” e così prosegue: “ Essa deriva, da una parte, dalla nostra finitezza, dall’altra, dalla massa di colpa che, nel corso della storia si è accumulata e anche nel presente cresce in modo inarrestabile. Certamente bisogna fare tutto il possibile per diminuire la sofferenza: impedire, per quanto possibile, la sofferenza degli innocenti; calmare i dolori; aiutare a superare le sofferenze psichiche…..Sì, dobbiamo fare di tutto per superare la sofferenza, ma eliminarla completamente dal mondo non sta nelle nostre possibilità, semplicemente perché non possiamo scuoterci di dosso la nostra finitezza e perché nessuno di noi è in grado di eliminare il potere del male, della colpa che è continuamente fonte di sofferenza. Questo potrebbe realizzarlo solo Dio: solo un Dio che personalmente entra nella storia facendosi uomo e soffre in essa. Noi sappiamo che questo Dio c’è e che perciò questo potere che toglie il peccato del mondo è presente nel mondo. Con la fede nell’esistenza di questo potere, è emersa nella storia la speranza della guarigione del mondo. Ma si tratta, appunto, di speranza e non ancora di compimento…….Non è lo scansare la sofferenza, la fuga davanti al dolore, che guarisce l’uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa di maturare, di trovare senso mediante l’unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore…..Sofferenza che significa anche accettare l’altro che soffre, assumendo in qualche modo la sua sofferenza, cosicché essa diventa anche mia: ma proprio perché ora è divenuta sofferenza condivisa, nella quale c’è la presenza di un altro, questa sofferenza è penetrata dalla luce dell’amore….E infine, anche il ‘si’ all’amore è fonte di sofferenza, perché l’amore esige sempre espropriazioni del mio io, nelle quali mi lascio potare e ferire. L’amore non può affatto esistere senza questa rinuncia anche dolorosa a me stesso, altrimenti diventa puro egoismo e con ciò, annulla se stesso come tale. Soffrire con l’altro, per gli altri; soffrire per amore della verità e della giustizia; soffrire a causa dell’amore e per diventare una persona che ama veramente, questi sono elementi fondamentali di umanità, l’abbandono dei quali distruggerebbe l’uomo stesso”.
La sofferenza, così intesa ed accettata, diventa luogo privilegiato di incontro con Cristo e, ripetendo le parole di Benedetto XVI, “luogo di apprendimento della speranza”: speranza di salvezza che, misteriosamente, in virtù della Passione del Redentore, Gesù Cristo Crocifisso, è stata resa accessibile a tutti, pur restando conseguibile individualmente, con la personale adesione al Suo insegnamento di amore.
Quali che siano il peso, la fatica e le sofferenze della vita, dovrebbe predominare in tutti la gioia nell’aspettativa di quanto oggetto della nostra speranza, affidando le nostre sofferenze a Maria, Madre di Dio e Madre di misericordia che “in perfetta docilità allo Spirito sperimenta la ricchezza e l’universalità dell’amore di Dio, che le dilata il cuore e la fa capace di abbracciare l’intero genere umano” (dall’enc. Veritatis splendor, di Giovanni Paolo II): “Mi hai fatto riposare sul petto di mia madre”, così recita un versetto del salmo 21, che segue quello iniziale, proclamato con grido straziante da Gesù agonizzante, alla presenza di sua Madre che era lì, a piedi della Croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. "

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