“Di questa infallibilità il
romano Pontefice, capo del collegio dei vescovi, fruisce in virtù del
suo ufficio, quando, quale supremo pastore e dottore di tutti i fedeli
che conferma nella fede i suoi fratelli (cfr. Lc 22,32), sancisce con
atto definitivo una dottrina riguardante la fede e la morale. Perciò le
sue definizioni giustamente sono dette irreformabili per se stesse e
non in virtù del consenso della Chiesa, essendo esse pronunziate con
l'assistenza dello Spirito Santo a lui promessa nella persona di san
Pietro, per cui non hanno bisogno di una approvazione di altri, né
ammettono appello alcuno ad altro giudizio”
(Lumen gentium 25 - Concilio Vaticano II)
“Questo assenso religioso della volontà e della intelligenza lo si deve in modo particolare prestare al magistero autentico del romano Pontefice, anche quando non parla «ex cathedra». Ciò implica che il suo supremo magistero sia accettato con riverenza, e che con sincerità si aderisca alle sue affermazioni in conformità al pensiero e in conformità alla volontà di lui manifestatasi che si possono dedurre in particolare dal carattere dei documenti, o dall'insistenza nel proporre una certa dottrina, o dalla maniera di esprimersi”
(Lumen gentium 25 - Concilio Vaticano II)
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