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Volare in terra e camminare in cielo

giovedì 28 gennaio 2010

Peccato e carita'

Mi sono trovato a leggere queste pagine del Catechismo che mettono in guardia dalle fiamme dell'inferno, quelle fiamme di cui a volte si tiene poco conto quando si e' tentati dal peccato, pagine che pero' allo stesso tempo ricordano l'infinita misericordia di Dio.
Volevo condividerle e rinnovarle ricordandole perche' credo che il peccato sia una delle insidie piu' grandi alla vita del matrimonio e alla buona educazione dei nostri figli.


http://www.vatican.va/archive/catechism_it/p3s1c1a8_it.htm

“1856 Il peccato mortale, in quanto colpisce in noi il principio vitale che è la carità, richiede una nuova iniziativa della misericordia di Dio e una conversione del cuore, che normalmente si realizza nel sacramento della Riconciliazione:
« Quando la volontà si orienta verso una cosa di per sé contraria alla carità, dalla quale siamo ordinati al fine ultimo, il peccato, per il suo stesso oggetto, ha di che essere mortale [...] tanto se è contro l'amore di Dio, come la bestemmia, lo spergiuro, ecc., quanto se è contro l'amore del prossimo, come l'omicidio, l'adulterio, ecc. [...] Invece, quando la volontà del peccatore si volge a una cosa che ha in sé un disordine, ma tuttavia non va contro l'amore di Dio e del prossimo — è il caso di parole oziose, di riso inopportuno, ecc. —, tali peccati sono veniali ». 115

1861 Il peccato mortale è una possibilità radicale della libertà umana, come lo stesso amore. Ha come conseguenza la perdita della carità e la privazione della grazia santificante, cioè dello stato di grazia. Se non è riscattato dal pentimento e dal perdono di Dio, provoca l'esclusione dal regno di Cristo e la morte eterna dell'inferno; infatti la nostra libertà ha il potere di fare scelte definitive, irreversibili. Tuttavia, anche se possiamo giudicare che un atto è in sé una colpa grave, dobbiamo però lasciare il giudizio sulle persone alla giustizia e alla misericordia di Dio.”




Quindi:

"Ha come conseguenza la perdita della carità e la privazione della grazia santificante, cioè dello stato di grazia. Se non è riscattato dal pentimento e dal perdono di Dio, provoca l'esclusione dal regno di Cristo e la morte eterna dell'inferno"

Da queste parole emerge una relazione tra peccato e carita'. Ma dove vuole arrivare la Verita' scritta in queste pagine del Catechismo?
Una ricerca personale mi ha condotto a queste parole di Padre Francesco Pio M.Pompa dal sito:



http://www.cuoreimmacolato.it/news.asp?id=1478

“Il peccato mortale provoca la morte dell’anima, ossia la priva della grazia divina, le toglie i meriti e la capacità di acquistare altri meriti, e la rende degna della pena eterna dell’inferno (cf CCC, n. 1861).
L’uomo, in grazia di Dio, ha la vita naturale, per cui è intelligente e libero, e la vita soprannaturale della grazia, mediante la quale partecipa alla vita di Dio, diviene suo figlio adottivo, amico ed erede del Paradiso. Il peccato mortale tronca questo legame di amicizia, spegne la vita della grazia e quindi causa la morte spirituale.
L’anima in peccato mortale perde i meriti e non ha la capacità di acquistarne di nuovi. I meriti sono i frutti delle opere buone compiute in grazia di Dio, che ci fanno conseguire la Felicità e il Premio eterno. Se si toglie dall’albero un ramo carico di frutti prima che sia maturo, li vedremo appassire e poi morire. Così vengono mortificati i meriti di chi cade in peccato mortale. I meriti non sono più imputabili a chi li ha fatti finché resta in peccato. Inoltre chi è privo della grazia di Dio, anche se compie opere buone, non ha la capacità di meritare soprannaturalmente. Il tralcio separato dalla vite non serve a nulla, se non a essere gettato nel fuoco (cf Gv 15,6). Senza Dio non siamo capaci di compiere una sola opera a Lui gradita. San Paolo afferma che a chi è privo della carità o grazia non giovano a nulla le opere più grandi e meravigliose, fosse pure il parlare le lingue degli angeli e degli uomini, il dare i propri beni ai poveri, l’immolarsi gettandosi nel fuoco (cf 1Cor 13,1-14).
Il peccato mortale rende l’anima degna dell’inferno. Se il peccato, infatti, ci separa da Dio e ci priva della sua grazia, di conseguenza ci fa schiavi del demonio, soggetti all’impero del demonio, senza diritto ad altra eredità che quella del demonio stesso, cioè l’eterna dannazione.
Non è inutile, comunque, che il peccatore faccia opere buone. Deve farne, sia per non divenire peggiore omettendole e cadendo in nuovi peccati (ripetendo i peccati, aumentano le colpe, e si rafforzano le cattive abitudini, che, a loro volta, sono causa di nuovi peccati, sempre più numerosi); sia per disporsi con esse in qualche modo, alla conversione e al riacquisto della grazia di Dio (non negata da Dio a chi è ben disposto).
La Bibbia ci racconta che Raab, peccatrice e pagana, compì un’opera buona nascondendo nella sua casa i due esploratori ebrei, mandati a esplorare la terra promessa da Dio e cercati a morte dagli abitanti di Gerico. In premio di quest’opera buona, quando la città fu conquistata dagli ebrei, Raab ebbe salva la vita (cf Gs 2,1-22; 6,21-26).
La grazia di Dio perduta con il peccato mortale si riacquista con una buona Confessione sacramentale (cf CCC, nn. 1456, 1856), o col dolore perfetto (il vivo dispiacere dei peccati commessi, perché sono offesa di Dio nostro Padre infinitamente buono e amabile, e sono causa della Passione e Morte di Gesù), che libera dai peccati, sebbene resti l’obbligo di confessarli appena possibile (cf CCC, n. 1452). Insieme alla grazia, per somma misericordia di Dio, si riacquistano anche i meriti perduti con il peccato mortale. “


Cioe':
"L’anima in peccato mortale perde i meriti e non ha la capacità di acquistarne di nuovi. I meriti sono i frutti delle opere buone compiute in grazia di Dio."
"Chi è privo della carità o grazia non giovano a nulla le opere più grandi e meravigliose, fosse pure il parlare le lingue degli angeli e degli uomini, il dare i propri beni ai poveri, l’immolarsi gettandosi nel fuoco (cf 1Cor 13,1-14).
"

Quindi la “ perdita' della carita' “ a cui si fa' riferimento nella catechesi e' la perdita di Gesu', di Dio, sorgente di ogni nostro atto d'amore. Se cosi' non fosse sarei illuso (Satana e' un esperto di illusioni) di poter donare un mio amore, un amore che viene da me. Non a caso in Deus Caritas Est il pontefice ricorda:

“http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20051225_deus-caritas-est_it.html

Chi vuol donare amore, deve egli stesso riceverlo in dono. Certo, l'uomo può — come ci dice il Signore — diventare sorgente dalla quale sgorgano fiumi di acqua viva (cfr Gv 7, 37-38). Ma per divenire una tale sorgente, egli stesso deve bere, sempre di nuovo, a quella prima, originaria sorgente che è Gesù Cristo, dal cui cuore trafitto scaturisce l'amore di Dio (cfr Gv 19, 34).”



E allora io, misero essere umano non sono la sorgente dell'amore e quindi della carita' se non GRAZIE a Dio e in comunione con lui, in amicizia con lui, con Gesu' e con lo Spirito Santo.

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